Luwun: lo "yeti" del Myanmar
Il Myanmar, per lungo tempo militarmente isolato, è considerato tra le nazioni più "inaccessibili" al mondo. Quasi completamente chiuso ai forestieri dal 1960 sino alla fine degli anni 90', quando il governo scoraggiava collaborazioni tra ricercatori locali e stranieri e non forniva nemmeno fondi per finanziare ricerche scientifiche guidate dalle istituzioni locali, ancora oggi possiede diverse aree off limits ai ricercatori a causa di motivi di sicurezza e di conflitti ancora in corso.
Non è quindi del tutto sorprendente che negli ultimi anni, con il graduale allentarsi di queste restrizioni, sia stato possibile, da parte degli zoologi, scoprire e descrivere svariate nuove specie, alcune delle quali di dimensioni non trascurabili e già perfettamente conosciute dalla popolazione locale.
Ad esempio nel 1997, il biologo Alan Rabinowitz scoprì una nuova specie di muntjak* (Muntiacus putaoensis) e nel 2011 il primatologo Thomas Geissman e la sua squadra scoprirono una nuova specie di rinopiteco (Rhinopithecus strykeri) genere di primati la cui presenza in Myanmar era all'epcoa totalmente sconosciuta agli zoologi (le specie precedentemente conosciute vivevano in Cina e in Vietnam), ma non ai nativi dei villaggi, che chiamano questo animale, in base ai diversi dialetti, con i nomi di myuk na tok e mey nwoah, entrambi significanti "scimmia dal naso all'insù".
Forse è proprio la non ancora completa conoscenza del Myanmar e della sua straordinaria biodiversità ad avere recentemente spinto, cosa rara nel mondo della criptozoologia, due ricercatori affermati ad "esporsi" con un articolo riguardante segnalazioni su una possibile nuova specie di primate.
Infatti Steven G. Platt del Wildlife Conservation Society-Myanmar Program, e Thomas R. Rainwater del Baruch Institute of Coastal Ecology and Forest Science, hanno deciso di vagliare un enorme numero di documenti delle più svariate tipologie (articoli scientifici, rapporti interni, articoli di quotidiani, libri, etc.) per realizzare uno "stato dell'arte" relativo a un misterioso "uomo selvatico" che abiterebbe alcune aree del Paese...
L'articolo, purtroppo pubblicato sul controverso The Relict Hominoid Inquiry, riporta come risultato di questa ricerca ad ampio raggio una serie di informazioni provenienti dalle fonti che i due autori hanno considerato più attendibili. Ma anche così, il materiale disponibile risulta comunque alquanto nebuloso e in alcune circostanze piuttosto inverosimile. Platt e Rainwater hanno riportato una sintesi dei contenuti delle fonti, per cui ho deciso di risalire ad esse per, quando possibile, citarle nella loro interezza, traducendole in italiano. Procediamo in ordine cronologico.
Nel volume 2 del suo The Fauna of British India del 1891, il geologo e naturalista William Thomas Blandford, dopo una trattazione sui gibboni, riporta che
La seconda fonte proviene dal libro Anecdotes of big cats and other beasts di David Wilson del 1910:
Altri brevissimi accenni risalgono al 1912 e sono contenuti nelle pagine del The Bhamo District. Burma Gazetteer, ad opera di G. W. Dawson:
Parlando di primati misteriosi non poteva mancare una sorta di "effetto yeti". A proporcelo è R. Kaulback, che nel suo libro Salween del 1939, racconta le sue avventure a nord del Paese alla ricerca delle sorgenti dell'omonimo fiume.
Attraversata la frontiera montana si imbatté infatti assieme ai suoi portatori in cinque diverse piste di impronte a 4.877 metri. Sebbene non molto distinte avevano l'aspetto di piedi umani nudi. Kaulback le attribuì a degli orsi, ma i portatori dissero che appartenevano agli "uomini selvatici delle montagne", creature terrificanti che vivevano nelle alture innevate. Uno degli uomini gli disse di averne visto uno anni prima mentre era a caccia di ungulati. Camminava con andatura bipede, aveva la pelle chiara, era nudo con lunghi capelli e peli sulla testa, spalle e braccia e reggeva una clava.
Questo presunto aneddoto, porta irresistibilmente alla mente quello riportato dal colonnello Howard Bury nel suo Mount Everest the Reconnaissance del 1921 con l'aggiunta della fantasiosa descrizione della creatura osservata, e farebbe quindi piuttosto pensare a una nota di colore inserita per rendere più avventuroso il resoconto di viaggio.
Elementi di maggiore interesse, se non altro perché raccolti da zoologi professionisti, emergono dalla Burma Wildlife Survey commissionata dalla IUCN a Oliver Milton e Richard D. Estes e pubblicata nel 1963:
Nel 1969 lo zoologo Hla Aung pubblicò sulle pagine del The Working Pople's Daily un articolo contenente quattro presunti "incontri" con l'altrettanto presunto "uomo selvatico". In questa carrellata soltanto un episodio descrive vagamente la creatura, mentre gli altri riguardano ritrovamenti di strane impronte.
L'episodio in questione sarebbe avvenuto a 3.512 metri presso il Passo di Urong Thara, dove un indigeno fu caricato da un uomo selvatico che si avventò su di lui a zanne scoperte a braccia alzate. L'indigeno riuscì a colpire la scimmia con una freccia e questa batté in ritirata dileguandosi nella foresta.
La pubblicazione più recente proviene da Eugene Morse ed è riportata all'interno del libro Exodus to a Hidden Valley (1974), che descrive le sue esperienze di missionario cristiano presso la popolazione Kachin negli anni 50' e 60' del secolo scorso.
Nel 1968 un Kachin suo amico gli raccontò che appena una settimana prima si era imbattuto in un "uomo selvatico" durante una battuta di caccia al mosco. Osservò delle impronte simili a quelle di una scimmia, ma lunghe circa 30 cm e le seguì fino a giungere a 15 metri di distanza a un uomo selvatico alto più di due metri fermo in posizione eretta.
Non somigliava in nulla a un essere umano ed era ricoperto da un lungo pelo marrone rossiccio. Il cacciatore riferì a Morse che l'uomo selvatico imitava i suoi movimenti:
"[...] quando sollevai la mano, lui sollevò la mano. Quando raccolsi la mia balestra per prendere la mira, pretese di sollevare un arco immaginario per fare lo stesso". La creatura si dileguò dopo che il cacciatore la colpì con la freccia.
Anche quest'ultimo aneddoto ricorda piuttosto da vicino il folklore nato attorno alla figura dello yeti (innumerevoli leggende Sherpa parlano di yeti curiosi che imitano in tutto i gesti degli esseri umani), inoltre descrive una creatura dalle dimensioni piuttosto difficili da accettare.
Platt e Rainwater sono però assolutamente disposti a prendere in seria considerazione il materiale da loro raccolto, non escludendo, a mio avviso ben troppo ottimisticamente, che l'"uomo selvatico" del Myanmar possa spiegarsi con un classico della criptozoologia "old school": una popolazione esigua e relitta di gigantopitechi.
Alla luce da quanto emerso in anni di ricerche dello yeren cinese, simili slanci di entusiasmo sono probabilmente poco indicati, ma resta interessante il fatto che le segnalazioni che predatano la "febbre" per lo yeti in occidente, parlano di scimmie che per aspetto e dimensioni sembrano ricondurre a grossi macachi. E un Paese in cui appena cinque anni fa è stata scoperta una nuova specie di analoghe dimensioni, meriterebbe forse un rinnovato interesse da parte dei primatologi.
* Il muntjak di Putao, è conosciuto dai cacciatori locali con il nome di phet gyi, "cervo foglia", per via delle sue minute dimensioni (11 kg di peso).
** In realtà tutte le specie di macaco possiedono una coda, ma in alcune di esse quest'ultima è ridotta al punto da risultare difficilmente visibile.