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Riscoperto "il dito dello yeti": analisi del DNA previste per oggi

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Riscoperto "il dito dello yeti": analisi del DNA previste per oggi

un'altra pagina della criptozoologia in procinto di chiudersi
Ritratto di lorenzorossi di Lorenzo Rossi - Mar, 27/12/2011 - 09:30Qui si parla di

Come si sa, "volte ritornano", ma se la notizia pubblicata questa mattina sul sito internet del Daily Mail non è una bufala, in questo caso si tratterebbe di un ritorno in grado di chiudere per sempre (o aprire...) un altro capitolo nella lunga saga dell'"abominevole uomo delle nevi".

Sembra infatti che dopo oltre 40 anni sia stato finalmente ritrovato il presunto dito di yeti appartenente ad una mano mummificata proveniente dal monastero di Pangboche...

Dal 1957 Tom Slick, il famoso magnate del petrolio iniziò ad appassionarsi alle leggende sullo yeti organizzando diverse spedizioni sulle tracce dell'evanescente creatura. Le ricerche, a parte presunti ritrovamenti di impronte, non portarono a molti risultati, ma un contatto di Slick, il noto cacciatore ed esploratore Peter Byrne, gli comunicò che alcuni sherpa gli avevano rivelato che i monaci del monastero di Pangboche (regione del Khumbu) custodivano la mano mummificata di uno yeti.

Byrne decise così di recarsi sul luogo per potere osservare con i propri occhi il controverso reperto, che sembrava simile ad una mano umana molto vecchia. Informato della cosa, Slick diede istruzioni a Byrne di portare a Londra il reperto, ma i monaci si rifiutarono di privarsi della reliquia.

Slick però non si arrese e organizzò un incontro a Londra in cui oltre a Byrne era presente anche il primatologo di fama mondiale William Osman Hill, all'epoca convinto sostenitore dell'esistenza dello yeti. Hill informò i suoi interlocutori che gli sarebbe servito almeno un dito di quella mano per potere condurre su di esso analisi scientifiche, dopodiché, così vuole la leggenda, estrasse da un pacchetto di carta le ossa di un dito umano e lo posò sul tavolo, suggerendo a Byrne di sostituirlo con il dito originale che avrebbe sottratto dalla reliquia.

Tornato al monastero Byrne, aiutato da 100 sterline, convinse i monaci a fare lo scambio e dopo avere dipinto il dito umano affinché si intonasse al colore della reliquia, partì per il viaggio di ritorno scegliendo un percorso ai confini con l'India. Qualche anno prima infatti, il governo nepalese aveva varato dure leggi contro gli stranieri che avessero ucciso o portato fuori dal Paese uno yeti.

Slick però era a conoscenza del fatto che il suo amico attore Jimmy Stewart, oltre ad essere un appassionato del mistero dello yeti, si trovava all'epoca in vacanza a Calcutta e riuscì ad organizzare un incontro tra quest'ultimo e Byrne. Stewart prese in consegna il dito e nascondendolo nel bagaglio della biancheria intima di sua moglie Gloria riuscì a farlo giungere a Londra sano e salvo.

Hill poté così finalmente esaminare il tanto agognato reperto, ma all'epoca l'unico esame possibile era quello anatomico. Il primatologo concluse che non si trattava di un dito umano.

Per lunghi anni la storia terminò così. Hill perse interesse allo yeti e lasciò il bizzarro reperto in eredità all'Hunterian Museum dove è stato dimenticato, almeno sino ad oggi.

Per puro caso infatti un giornalista del Daily Mail si è recentemente imbattuto nel reperto e ascoltandone la storia ha contattato l'85enne Peter Byrne, che recandosi sul posto ha confermato che si trattava esattamente dello stesso reperto da lui portato a Londra molti anni prima. Ora la Royal Zoological Society of Scotland eseguirà degli esami del DNA sul "dito dello yeti" ed i risultati a quanto pare, saranno divulgati oggi alle 11:00 del mattino (quindi tra poche ore).

Sperando che i ricercatori effettueranno le analisi con tutta la serietà e professionalità del caso e che il reperto non sia stato troppo contaminato lungo il corso degli anni dal DNA umano di chi lo ha maneggiato sino ad ora, un altro mistero della saga dello yeti potrebbe essere risolto entro poche ore.

Il verdetto...

Rob Odgen della Royal Zoological Society of Scotland è stato alquanto diretto nelle sue dichiarazioni in merito alla vicenda: 

Avevamo diversi frammenti che abbiamo inserito in una grande sequenza che poi abbiamo confrontato con il database, scoprendo DNA umano. DNA umano era quello che ci aspettavamo di trovare e DNA umano è stato quello che abbiamo trovato

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