La ritina di Steller
Nonostante la prematura scomparsa causata da una febbre e le non molte informazioni disponibili sul suo conto, il botanico e zoologo tedesco Georg Wilhelm Steller ha lasciato un segno molto profondo nella storia delle Scienze Naturali, essendo stato il primo europeo ad avere descritto diverse specie della Siberia e dell’Alaska.
Imbarcatosi nel 1738 come volontario in qualità di naturalista durante la Seconda Spedizione in Kamchatka guidata dal capitano Vitus Bering, salpò da San Pietroburgo fino a raggiungere l’attuale Kayak Island, Alaska, nel 1741, premurandosi sempre di trascrivere sul suo diario di viaggio minuziose descrizioni di piante e animali che riusciva a osservare.
Durante il tragitto di ritorno la nave sulla quale era imbarcato naufragò in quella che oggi è chiamata Isola di Bering, dove il capitano trovò la morte assieme a quasi metà dell’equipaggio, che fu decimato dallo scorbuto. I sopravvissuti allestirono un campo base facendosi bastare il cibo e l’acqua rimasti per tutto l’inverno e in primavera riuscirono a costruire un vascello con il quale approdarono alla Baia di Avacha, Kamchatka.
Nei lunghi mesi passati sull’isola, nonostante la situazione critica con la quale convivere ogni giorno, Steller continuò ad annotare assiduamente tutte le informazioni possibili riguardanti la fauna locale.
Tra le tante specie da lui descritte figurano un’otaria (Eumetopias jubatus), un’aquila (Haliaeetus pelagicus), un cormorano (Phalacrocorax perspicillatus) e una straordinaria creatura attualmente ufficialmente estinta, oggi conosciuta con il nome di ritina di Steller (Hydrodamalis gigas).
La ritina, che apparteneva all’ordine dei Sirenii(1), era un animale di dimensioni imponenti (poteva raggiungere i 9 metri di lunghezza), che fu portato all’estinzione nel 1768 a causa della caccia condotta dall’uomo, dopo appena 27 anni dalla sua scoperta.
Tutto quello che si sa circa l’aspetto e il comportamento di questo sfortunato e mite frequentatore delle coste siberiane è racchiuso nel diario di Steller, pubblicato sotto forma di volume (De Bestiis Marinis) cinque anni dopo la sua morte:
Considerati la mole e il comportamento di questi animali, non è difficile immaginare come i cacciatori siano riusciti a decimarne gli ultimi esemplari conosciuti in un tempo così breve, ma nonostante la loro palese bassa elusività, che non li avrebbe di certo aiutati a sopravvivere per troppo tempo lontani da occhi indiscreti, nel corso degli anni non sono mancati presunti avvistamenti e aneddoti che hanno fatto ipotizzare la sopravvivenza di esemplari di ritina in epoche successive alla data di estinzione comunemente accettata.
Va inoltre specificato che il loro areale di ditribuzione non era strettamente limitato all’isola di Bering. Al suo ritorno in Kamchatka infatti, Steller fu notevolmente sorpreso nell’apprendere che i nativi conoscevano da tempo la strana creatura (della quale pensava di essere il solo scopritore), con il nome di kapustnik (mangiatore di cavoli), che stando alle loro testimonianze era diffusa lungo tutta la costa orientale della penisola.
È quindi possibile che questa enorme distesa di coste in cui la presenza umana è soltanto occasionale, possa avere permesso alle ultime ritine di continuare a sopravvivere indisturbate? Gli elementi a nostra disposizione, purtroppo, sono piuttosto vaghi e alquanto frammentati.
Nel 1879 la nave d’esplorazione Vega, capitanata dallo svedese Erik A. Nordeskiöld, fece uno scalo di cinque giorni presso l’Isola di Bering e quest’ultimo non mancò di interrogare gli isolani in merito alle ritine. Alla fine della sua breve inchiesta, come da lui stesso riportato all’interno del suo libro The voyage of the Vega round Asia and Europe, pubblicato nel 1881, rimase fermamente convinto che questo animale era sopravvissuto molto più a lungo di quanto si pensasse.
Le sue convinzioni si basavano su alcune testimonianze apparentemente molto interessanti. Ad esempio un locale di nome Pitr Vassilijef Burdukovskij, 67 anni, gli raccontò di quando suo padre, che morì nel 1847, si trasferì sull’isola nel 1777 e in seguito gli riferì che le ritine erano ancora cacciate sino a qualche anno dopo il suo arrivo.
Raccolse anche le testimonianze di Feodor Mertchenin e di Pauloff Stepnoff Nicanor, che avevano dichiarato di averne osservato un esemplare 25 anni prima, sulla costa orientale dell’isola. Era lungo circa 4,5 metri, spesso nella parte anteriore e sottile in quella posteriore. Possedeva due piccole appendici anteriori e non respirava tramite sifoni, ma direttamente dalla bocca. Era privo di pinna dorsale e vista la sua magrezza era possibile intravederne le vertebre al di sotto della pelle.
Quest’ultimo particolare sembrerebbe senza dubbio molto suggestivo, collimando perfettamente con quanto scritto da Steller, ma le informazioni pubblicate da Nordeskiöld furono in seguito scrupolosamente investigate dallo zoologo Leonhard Stejneger,che giunse a conclusioni diametralmente opposte.
Stejneger non fu soltanto uno dei più illustri naturalisti del ventesimo secolo, con all’attivo oltre 400 pubblicazioni e curatore capo del Dipartimento di Biologia presso lo Smithsonian Instituion, ma per una curiosa serie di circostanze, anche il più grande conoscitore della vita di Georg Steller.
Nel 1882 lo Smithsonian lo inviò presso l’isola di Bering con il compito di collezionare materiale scheletrico della ritina. A quei tempi Steller era una figura pressoché dimenticata nel mondo delle Scienze Naturali e tutte le informazioni che Stejneger possedeva erano contenute in un manoscritto proveniente da una collezione privata, intitolato Steller’s Description of Bering Island.
Lo studioso soggiornò per diciotto mesi sull’isola e quando ritornò in patria cominciò a raccogliere ogni informazione possibile riguardante Steller, dedicando a questa ricerca oltre 50 anni, che culminarono nel 1936 con la pubblicazione del libro Georg Willhelm Steller: The Pioneer of Alaskan Natural History. Non risulta quindi difficile capire il perché appena lesse i resoconti di Nordeskiöld decise di occuparsene direttamente.
Nel 1884 ritornò sull’Isola di Bering, dove rimase per un anno, nel tentativo di raccogliere informazioni sulla possibile sopravvivenza della ritina. Riuscì a contattare personalmente i testimoni segnalati da Nordeskiöld, che interrogò in maniera esemplare usando un rigore e una metodologia che dovrebbero essere da esempio per ogni ricerca criptozoologica.
Per prima cosa intervistando Burdukovskij, emersero diverse discrepanze temporali: il testimone lo informò infatti di avere 64 anni e che suo padre morì nel 1842 e non nel 1847. Aggiunse inoltre di avere fornito le informazioni corrette anche a Nordeskiöld e che si meravigliava del fatto che nel suo libro fossero state riportate altre date. A ogni modo l’arrivo di suo padre sull’isola si collocava nel 1772 e non nel 1777 e quindi i suoi resoconti sulla ritina risalirebbero ad appena quattro anni dopo la sua estinzione ufficiale e non a dieci.
Successivamente Stejneger intervistò separatamente gli altri due presunti testimoni, Stepnoff e Mertchenin, ponendo a entrambi le medesime domande.
Il risultato finale fece emergere rilevanti incongruenze con la descrizione riportata da Nordeskiöld: entrambi i testimoni fornirono una versione simile dei fatti, ma insistettero con forza nel dire che l’animale da loro osservato aveva un colore biancastro ed espelleva l’acqua da un’apertura sulla testa e non dal naso o dalla bocca. Dissero inoltre di avere pensato a una ritina perché il suo dorso era completamente privo di pinne dorsali e non conoscevano nessun cetaceo con questa caratteristica. Stejneger ipotizzò, piuttosto verosimilmente, che potesse trattarsi di una femmina di narvalo (Monodon monoceros).
Curiosamente nel 1885 il naturalista polacco Benedikt Dybowski, che era stato collaboratore di Stejneger, scrisse sulle pagine della rivista Kosmos, il bollettino della Società dei Naturalisti polacchi, che la relazione di Nordeskiöld “non merita, a mio parere, nessuna attenzione” salvo poi contraddirsi aggiungendo che “gli Aleutini raccontano che quando i coloni arrivarono sulle isole, questo animale esisteva ancora e quindi si dovrebbe fissare la data della scomparsa degli ultimi esemplari a sessant’anni dopo il 1778”.
Indizi più recenti risalirebbero al mese di luglio del 1962, quando l’equipaggio della baleniera Buran dichiarò di avere osservato degli strani animali presso la regione di Capo Navarino, promontorio della costa siberiana che si trova a sud del Golfo dell’Anadyr, nella Provincia Autonoma di Chukot.
L’avvistamento ebbe luogo in prima mattinata mentre la nave si trovava in prossimità della costa. Furono avvistati almeno sei animali dall’aspetto giudicato insolito, da una distanza di circa 100 metri. La loro lunghezza fu stimata a 6 - 8 metri e stavano stazionando in acque basse, presso una sorta di laguna all’interno della quale sfociava un fiume. L’equipaggio non seppe ascrivere questi animali a nessuna delle specie di cetacei e mammiferi da loro conosciute.
La pelle era molto scura, la testa piccola, ma nettamente distinguibile dal resto del corpo, possedevano un labbro superiore biforcuto e la coda era bilobata.
Questo avvistamento fu reso pubblico nel 1963 da tre zoologi russi, A. A. Berzine, E. A. Tikhomirov e V. I. Tronine, all’interno di un articolo pubblicato sulle pagine della rivista Priroda (Natura). Gli autori sottolinearono con enfasi come nessun mammifero marino conosciuto era noto per possedere le caratteristiche descritte dai balenieri, i quali conoscevano tra l’altro molto bene i diversi cetacei e pinnipedi della zona. Un ulteriore elemento sorprendente era dato dalla perfetta compatibilità dell’habitat prediletto dalle ritine, tanto che i tre naturalisti auspicarono che future spedizioni avrebbero dovuto avere il compito di esplorare metodicamente la costa orientale della Kamchatka:
Inoltre circa il fatto che le ritine furono estinte dai cacciatori di pellicce (che le cacciavano per la carne, il grasso e il cuoio), aggiunsero che
Ma in seguito alle forti critiche mosse dal mammologo V. G. Heptner in risposta all’articolo dei suoi colleghi, l’esplorazione alla ricerca di eventuali ritine sopravvissute non ebbe mai luogo. Infatti nonostante non somiglino affatto agli animali descritti dai balenieri, Heptner concludeva, dopo un duro attacco alla criptozoologia e al suo fondatore Bernard Heuvelmans, che gli animali avvistati non erano altro che femmine di narvalo.
L’ultimo aneddoto conosciuto che potrebbe essere collegato alla ritina risale al 1976 e fu pubblicato l’anno successivo da Vladimir Malioukovitch del Museo Regionale Etnografico di Petropavlovsk (Kamchatka). Si tratta della testimonianza di Ivan Nikiforovich Chechulin, che in quel periodo stava lavorando in una zona di pesca al salmone presso la baia di Anapkinskaya.
Un giorno, dopo una forte tempesta, un grosso animale avvicinatosi alla costa attirò l’attenzione dei pescatori in quanto non somigliava a nulla di ciò che conoscevano: la sua pelle era scura e possedeva una coda bilobata come quella delle balene, erano presenti due pinne anteriori e sotto la pelle era possibile intravedere delle costole. I testimoni si avvicinarono per toccare l’animale e rimasero stupiti per la forma insolita della testa, che descrissero come allungata.
Quando Malioukovitch chiese a Techétchouline se non si fosse trattato di un pinnipede noto, quest’ultimo sottolineò che sia lui che i suoi compagni conoscevano bene la fauna di quelle acque e che nessuno di loro aveva mai visto prima una creatura del genere, ma quando gli fu mostrato il disegno di una ritina esclamò “è esattamente quello che abbiamo visto, devo aggiungere altro?”.
Riferendosi a questo avvistamento il biologo canadese Edward Mitchell avanzò l’ipotesi che l’animale sconosciuto potesse essere un elefante marino del nord (Mirounga angustirostris). A ogni modo anche se saltuariamente questo pinnipede in grado di superare i quattro metri di lunghezza, può vagare per migliaia di chilometri oltre il suo normale areale di distribuzione (durante la dispersione al di fuori della stagione degli accoppiamenti i maschi raggiungono comunemente, anche se in numero variabile, le acque della Penisola d’Alaska), la descrizione fornita da Chechulin non sembrerebbe collimare.
Lo stesso Mitchell sottolineò che le regioni della Kamchatka avrebbero meritato un ‘esplorazione sistematica per tagliare la testa al toro:
Al giorno d'ggi non esistono ulteriori presunti avvistamenti conosciuti di ritine di Steller oltre a quelli sopra menzionati, il che rende una possibile sopravvivenza di questi animali un’eventualità alquanto improbabile. Tuttavia da un paese come la Kamchatka, che conta un abitante per km2, eventuali incontri potrebbero non riuscire a diffondersi a sufficienza per arrivare alle orecchie degli addetti ai lavori.
Forse, dopotutto, una ricerca rigorosa della ritina potrebbe essere un gesto doveroso, anche se molto probabilmente oramai tardivo, nei confronti di una delle innumerevoli, straordinarie creature viventi, la cui presenza sulla Terra è stata cancellata prematuramente a causa dell’intemperanza dell’uomo.
1) in molti testi e nel gergo comune viene spesso utilizzata la parola “Sirenidi”, termine che indica in realtà una famiglia di salamandre acquatiche.
BERZINE, A. A. et al. (1963), in Priroda no.8 : 73-75.MALIOUKOVITCH, Vladimir (1977), in Kamtchatsky Komsomolets.
HEPTNER V. G. (1965), in Priroda no. 7: 91-94.
MALIOUKOVITCH, Vladimir (1977), in Kamtchatsky Komsomolets.
NORDENSKIOLD, A. E. (1881), The voyage of the Vega round Asia and Europe. Macmillan. London.
STEJNEGER, Leonhard
(1936), Georg Wilhelm Steller: The Pioneer of Alaskan Natural History. Harvard University Press. Cambridge.
(1887), How the great northern sea-cow (rytina) became exterminated. The American Naturalists, 21 no. 12: 1047-1054.
STELLER, Georg Wilhelm (1751), De Bestiis Marinis or, The Beasts of the Sea. Paul Royster.