Alcune riflessioni sull’elefante pigmeo africano Loxodonta pumilio Noack
L'articolo di Lorenzo Rossi ha riacceso l’interesse per questa mitica creatura ed oggi che l’esistenza di due specie di elefanti in Africa sembra oramai accertata - Loxodonta africana e L. cyclotis – e la mammalogia sembra riaffrontare con senso critico una discussione sul concetto di specie (Gippoliti & Groves, 2012), è forse giunto il momento di analizzare di nuovo le evidenze scientifiche esistenti.
Personalmente ritengo che grazie soprattutto a Peter Grubb e Colin Groves (due grandi tassonomi scomparsi rispettivamente nel 2006 e nel 2017) sia stato fatto un grande passo in avanti nella comprensione della diversità di Loxodonta (Grubb et al., 2000). La questione del Loxodonta pumilio e la maniera in cui è stata affrontata denota alcune serie incomprensioni circa i fenomeni di speciazione e delle inesattezze circa le caratteristiche che distinguono le due specie accertate. Esiste veramente un'unica forma di cyclotis dal Senegal alla Republica Democratica del Congo?
A mio avviso no e soprattutto queste forme possono raggiungere dimensioni anche notevoli, soprattutto nei maschi adulti. Ricordo per esempio di avere osservato un maschio di elefante africano (‘Colo’, privo di zanne) presso il Parco Zoologico di Bois de Vincennes a Parigi e di non essermi reso conto si trattasse di un elefante di foresta malgrado le piccole orecchie. Tra l’altro si trattava del primo cyclotis studiato geneticamente (Barriel et al., 1999), ma proveniente dalla Sierra Leone. Presso Gangala na Bodio, storica stazione di addomesticamento di elefanti nell'ex Congo belga orientale, una ricca documentazione fotografica mostra chiaramente che i piccoli cyclotis locali posseggono orecchie molto grandi – forse un adattamento all’ambiente ecotonale della regione? Non a caso questi animali vennero ascritti da Lydekker ad un diverso taxon, albertensis (Lydekker, 1907).
Ma torniamo a L. pumilio e analizziamo alcune evidenze.
La foto che ritrae due piccoli esemplari a fianco di una femmina di elefante asiatico presso il Circo Ringling Bros e Barnum è veramente interessante. Se questa illustrazione provenisse da una raffigurazione in una piramide egiziana parleremmo senz’altro di elefanti nani provenienti da qualche isola mediterranea. I due esemplari provenivano da Gangala na Bodio da dove elefanti pigmei erano stati catturati già nel 1932 lungo il fiume Uelé (Heuvelmans, 1959). Molto interessante poi che elefanti pigmei fossero chiaramente distinguibili in un posto pieno di elefanti di foresta!
Considerati inadatti al lavoro, questi venivano spesso venduti a zoo e circhi. Quelli del Circo Barnum, ‘Congo’ e ‘Pourquois’, arrivarono nell’Aprile del 1936 e purtroppo non vissero a lungo – in particolare il maschio. Notate che la presenza delle lunghe zanne ha un'importanza decisiva nella valutazione dell'età degli animali, che non possono non essere che adulti. Ma molto spesso le zanne possono essere abrase dagli elefanti viventi in cattività (specialmente negli zoo) oppure addirittura non svilupparsi per problemi legati alla nutrizione. Quindi questa documentazione ci rafforza nell’idea che questi fossero animali in uno stato di salute eccellente, almeno sino al momento della loro cattura e arrivo poi a New York. Notate anche che il dimorfismo tra maschio e femmina sembra minimo nelle dimensioni (non è così nelle altre specie).
D’altronde mammologi del calibro di Bourliere e Petter non poterono che ascrivere all’elefante pigmeo un vecchio maschio di Aloombé (Gabon) da loro esaminato.
Molto interessante poi il fatto citato da Rossi e riportato da Bohme e Eisentraut. Knoefper, zoologo francese, aveva messo a conoscenza Eisentraut e Wolfgang Bohme di un fatto molto interessante: mentre si trovava in Gabon aveva visitato il villaggio pigmeo di Makoku i cui abitanti avevano da poco portato due elefanti pigmei uccisi in un’area paludosa a sei ore di cammino. Esaminando i cadaveri si accorse che si trattava di un maschio e una femmina alti 180 e 160 cm. Durante la macellazione delle carni da parte dei pigmei, si scoprì che la femmina era gravida e che il feto che portava in grembo era completamente formato, cosa che sarebbe risultata impossibile per qualunque elefantessa immatura di qualunque specie. Può Knoefper essersi inventato tutto?
Ora è interessante notare che come già riportato, l’elefante pigmeo viene spesso associato a zone ricche di paludi e acqua. Si potrebbe quindi ipotizzare non un nanismo dovuto a povertà di risorse trofiche, quanto piuttosto ad un adattamento alla locomozione in zone acquitrinose, dove forse un grosso animale avrebbe difficoltà a procedere. Inoltre, mi sembra che anche solo esaminando la questione secondo una prospettiva tassonomica ‘classica’ legata al Concetto Biologico di Specie, è sorprendente che a quanto mi consta nessuno abbia mai discusso come, concretamente, il flusso genico possa avvenire tra ‘ecotipi’ di così differenti dimensioni. Cioè mi appare assai improbabile che un maschio di elefante possa accoppiarsi con una femmina più grande di lui mentre, in caso contrario, questo è certamente più ragionevole (specialmente se ciò succedesse con un maschio non ancora al culmine dello sviluppo fisico) ma rimane da vedere se la piccola femmina potrebbe portare a termine la gestazione di un feto di grandi dimensioni.
Come evidenziato da Galindo-Leal & Weber (1994), la distocia (con susseguente morte di feto e madre) è un problema comune di molte femmine partorienti di ungulati, allorché il peso del feto superi la media come risultato di un accoppiamento con un maschio appartenente ad un taxon di maggiori dimensioni. Se questi ecotipi di elefanti condividono parti del medesimo areale senza che generalmente si assista alla formazione di popolazioni miste (come testimoniato da diversi cacciatori e naturalisti), allora è chiaro che il concetto di sottospecie non è applicabile nel caso dell’elefante pigmeo.
E’ possibile che la tassonomia di Loxodonta nasconda una situazione complessa come quella del genere Rangifer (caribù) in Nord America. Qui un quadro tassonomico sovra-semplificato ha riconosciuto per oltre mezzo secolo un'unica specie e pochissime sottospecie. Oggi dopo alcuni disastrosi progetti di traslocazione che non hanno mai apportato benefici alla conservazione, soprattutto della ‘sottospecie’ di foresta R. tarandus caribou, molti studiosi canadesi sono orientati a lavorare per la conservazione dei caribù a livello di singolo branco (Miller et al., 2007). Forse anche gli studi sugli elefanti di foresta e quelli pigmei potrebbero beneficiare di una simile prospettiva?
Barriel, V., Thuet, E. & Tassy, P. 1999 Molecular phylogeny of Elephantidae. Extreme divergence of the extant forest African elephant. Crit. Rev. Acad. Sci. III Life Sci. 322: 447–454.
Böhme, W., & Eisentraut, M. (1990). Zur weiteren Dokumentation des Zwergelefanten (Loxodonta pumilio Noack, 1906). Zeitschrift des Kölner Zoo, 33: 153–158.
Cousins D. 1995. The African Forest Elephant and its Status in Captivity. Part II: North America. International Zoo News, 42/4(261): 214–222.
Galindo-Leal C. & Weber M. 1994. Translocation of deer subspecies: reproductive implications. Wildl. Soc. Bull. 22: 117-120.
Gippoliti S., Groves C.P. ‘Taxonomic inflation’ in the historical context of mammalogy and conservation. Hystrix It J. Mamm. 23(2): 8-11
Grubb,P., C.P. Groves, J.P. Dudley, J. Shoshani, 2000. Living African elephants belong to two species: Loxodonta africana (Blumenbach, 1797) and Loxodonta cyclotis (Matschie, 1900), Elephant 2: 1–4.
Heuvelmans, B. 1959. On the track of unknown animals. Rupert Hart-Davis, Londra.
Lyddeker, R. 1907. The ears as a race character in the African elephant. Proc. Zool. Soc. Lond. 1907: 380–403.
Miller FL, Barry SJ, Calvert WA, Zittlau KA. 2007. Rethinking the basic conservation unit and associated protocol for augmentation of an ‘endangered’ caribou population: An opinion. Rangifer 17: 13-24.