Giganti del mare tra mito e realtà
Questa domanda, con cui una voce fuori campo apre il recente film dedicato alla tragedia della baleniera Essex, ha incuriosito l'uomo sin dalla notte dei tempi, generando dibattiti e discussioni anche in epoca moderna. Ma se oggi è piuttosto evidente che nessuna delle grandi creature marine ipotizzate dagli zoologi più entusiasti per cercare di dare una spiegazione al fenomeno dei cosidetti "serpente di mare" sarà mai scoperta davvero, resta la curiosità di conoscere quali sono le dimensioni massime che i più grandi animali marini possono raggiungere.
A questa non semplice domanda hanno cercato di rispondere il biologo della Duke University Craig R. McClain e i suoi collaboratori in un articolo del 2014 dal titolo Sizing ocean giants: patterns of intraspecific size variation in marine megafauna (scaricabile a fondo pagina). Nel loro studio gli autori hanno condotto un'analisi delle dimensioni di 25 diverse specie marine in grado di raggiungere dimensioni enormi, scelte tra quelle la cui grandezza viene più frequentemente esagerata dai media e dalle pubblicazioni più orientate al sensazionalismo che all'accuratezza dei dati.
Questa lista va a pescare (perdonatemi il poco felice gioco di parole) tra i diversi phyla, classi e ordini del regno animale, andando a scegliere i "campioni" delle rispettive categorie. Per questo motivo anche un animale di 50 cm, il Bathynomus giganteus, figura tra i "giganti" in quanto rappresenta il più grande isopode vivente conosciuto. L'articolo, ben lontano dall'essere un semplice esercizio di stile per venire incontro alla mera curiosità, fornisce dati e conclusioni piuttosto interessanti, come variazioni geografiche e la forte possibilità, per alcune delle specie trattate, di una tendenza alla diminuzione della taglia riconducibile alla pressione dell'uomo (overfishing) o a cambiamenti climatici.
Da un punto di vista strettamente criptozoologico, è inoltre interessante notare come molte storie poco documentate relative a individui descritti come di molto eccedenti le dimensioni tipiche della loro specie, ma ritenute nondimeno possibili, dando per scontato l'assunto che un organismo marino possa crescere a dismisura senza problemi di sorta, acquisiscono una luce diversa quando si iniziano a porre sul piatto della bilancia fattori quali biodinamica, metabolismo o termoregolazione.
Affronterò l'argomento in più "puntate", scegliendo di partire da una "categoria" che non è mai stata molto discussa (e mi verrebbe da aggiungere "forse è stato meglio così") nella letteratura dedicata alla criptozoologia: quella relativa agli avvistamenti di meduse di incredibili dimensioni.
Come prima cosa, lasciamo la parola agli aneddoti...
Richard Winer e Pat Boatwright erano in immersione a circa 10 metri di profondità 14 miglia a sud ovest dell'isola di Bermuda, con il compito di filmare i movimenti di una boa oceanografica in condizioni di mare mosso, per conto della General Electric. Winer aveva da poco finito la pellicola quando la sua attenzione fu attirata verso il basso da un oggetto che stava risalendo in superficie sotto di loro. Anche se le condizioni visive non erano ottimali per via del mare mosso e la luce del tardo pomeriggio, ciò che i due testimoni videro era una forma gigantesca ad una profondità di circa 30, 45 metri.
Winer stimò il diametro dell'oggetto (che era quasi perfettamente rotondo) da un minimo di 15 a un massimo di 30 metri. Secondo i subacquei si trattava di un animale di qualche tipo. Il suo colore interno era viola scuro, mentre il perimetro era rosa e "pulsante". Quando i due uomini risalirono in superficie, la creatura fermò la sua ascesa e iniziò a ridiscendere in profondità. L'intero episodio durò dai 4 ai 5 minuti.
il cargo Kuranda, in navigazione tra Australia e Isole Fiji, fu sorpreso da una tempesta quando un'onda scaraventò sul ponte una medusa di dimensioni gigantesche. I lunghi tentacoli dell'animale colpirono un uomo dell'equipaggio causandone la morte. Fu lanciato un S.O.S. e la nave di soccorso Hercules giunse in aiuto, rigettando in mare l'indesiderato ospite con l'aiuto di idranti ad alta pressione. Il capitano del Kuranda, Langley Smith, stimò che i tentacoli della medusa fossero lunghi 60 metri e dichiarò che il ponte della nave era ricoperto da una sostanza gelatinosa spessa almeno 50 cm. I campioni raccolti furono spediti a Sidney e lì identificati come provenienti da una medusa criniera di leone (Cyanea sp.).
L'incidente verificatosi al largo di Bermuda fu raccontato per la prima nel 1974, in un libro sul "mistero" del "Triangolo delle Bermuda" scritto dallo stesso Winer e intitolato The Devil's Triangle. La fonte non sembrerebbe essere tra le più attendibili, ma se non altro Gary Mangiacopra contattò il testimone principale per ottenere maggiori informazioni in merito all'accaduto. La conclusione di Mangiacopra, pubblicata sulla rivista Of Sea and Shore del 1976, fu che i due subacquei potevano essersi imbattuti in una gigantesca medusa, eventualità da lui avvalorata dal fatto che anche la medusa criniera di leone può raggiungere enormi dimensioni.
L'incidente del Kuranda è ancora più inverosimile del precendete. Infatti, sebbene sulla carta ci siano riferimenti ufficiali e nomi delle imbarcazioni coinvolte, nessuno è mai riuscito a risalire alla fonte (che pare essere un ritaglio di giornale australiano) degli eventi narrati. Lo scrittore Matt Bille non trovò mai il nome Kuranda nei registri navali che consultò per fare luce sull'accaduto, mentre riuscì a documentare l'esistenza della nave Hercules, ma gli elementi concreti in merito a questo episodio si fermano qui.
Anche in questo caso la poca letteratura disponibile contiene riferimenti alla medusa criniera di leone, ma ci sono almeno due problemi cui tenere conto. Il primo è che di norma questi animali non sono letali per l'uomo, ma si potrebbe supporre che lo sventurato marinaio sia stato vittima di uno schock anafilattico. Il secondo e più importante problema è che le meduse criniera di leone vivono nei mari settentrionali del Pianeta e la loro presenza nei luoghi che hanno fatto da sfondo alle due storie appena raccontate non è mai stata documentata.
L'unico appiglio ai quali i sostenitori di simili racconti hanno cercato di aggrapparsi pare essere la seguente ipotesi: considerando le dimensioni eccezionali che possono essere raggiunte dalla medusa criniera di leone, non è impossibile che altre specie gigantesche possano esistere anche a latitudini inferiori.
E' quindi ora giunto il momento di conoscere quello che la scienza ha da dire riguardo alle massime dimensioni raggiungibili da una medusa.
Partendo dal fatto che sono state descritte diverse specie criptiche (termine che indica specie diverse, ma morfologicamente talmente simili tra loro da risultare indistinguibili e che non ha a che fare con la criptozoologia) della medusa criniera di leone, gli autori hanno preferito considerare il genere Cyanea nel suo insieme. Il record di dimensioni in tal senso spetta a un esemplare proveniente dalla costa orientale degli Stati Uniti descritto dal naturalista A. Agassiz in un catalogo del 1856, nel quale si può leggere quanto segue:
Senza potere così contare su di un database, le dimensioni massime per il genere Cyanea sono state discusse prettamente a livello teorico. L'ipotesi dei ricercatori è che il limite di lunghezza massima raggiungibile per una medusa, debba essere ricollegato alla potenziale fragilità dei tentacoli e delle braccia orali. E' stato infatti osservato come in cattività i tentacoli delle meduse si aggroviglino spesso durante il processo di crescita, frammentandosi quando si annodano assieme.
In natura, sebbene un simile problema non dovrebbe porsi, i tentacoli potrebbero però spezzarsi a contatto con detriti marini. Inoltre tentacoli eccezionalmente lunghi potrebbero richiedere più tempo per contrarsi ed essere così più vulnerabili a predazione. Le dimensioni delle meduse riportare negli incidenti del Kuranda e delle Bermuda, appaiono così totalmente inverosimili.