La vera Moby Dick
Nel suo capolavoro del 1851, Moby Dick, Herman Melville utilizza la dura vita all'interno di una nave baleniera del XIX secolo non soltanto per descrivere le giornate dei marinai e le tecniche di caccia ai cetacei (temi ai quali era estremamente appassionato), ma anche, attraverso i dialoghi dei protagonisti, per illustrare la mentalità dell'epoca verso tematiche scientifiche, filosofiche, religiose e razziali.
Ma il romanzo di Melville è entrato a fare parte dell'immaginario collettivo soprattutto per la sua protagonista, la gigantesca balena bianca (in verità un capodoglio) Moby Dick, ossessione del capitano Achab. La critica ha sempre considerato questa battaglia disperata dell'uomo nei confronti delle forze della natura come un'allegoria e un monito, spiegando il colore bianco di Moby Dick come un simbolo dell'incomprensibilità del creato, velato addirittura di malvagio, tema tra l'altro piuttosto ricorrente nei dialoghi del capitano Achab.
La cornice del racconto è invece considerata come uno spaccato storico piuttosto fedele, anche tenendo conto delle incomplete conoscenze zoologiche dell'epoca, per quanto concerne la scienza della cetologia. Eppure, senza volere nulla togliere allo studio dei critici letterari, esiste una documentazione piuttosto dettagliata che dimostra come in realtà Melville si sia ispirato a fatti di cronaca tangibili e che l'origine di Moby Dick è molto meno simbolica e fantasiosa di quanto si pensi...
Nel maggio del 1839 il New-York Monthly Magazine pubblicò a firma dell'esploratore ed editore di quotidiani Jeremiah N. Reynolds, un lungo articolo dal titolo "Mocha Dick: Or the White Whale of the Pacific" (Mocha Dick: o la balena bianca del pacifico), che raccontava le gesta, ritenute assolutamente reali, di un grande capodoglio maschio che prima di essere abbattuto era sopravvissuto agli assalti dei balenieri per almeno 30 anni. Un simile resoconto avrebbe potuto facilmente ispirare Melville nella stesura del suo romanzo, ma leggendo l'opera di Reynolds emergono particolari ancora più interessanti:
Il fatto che Melville abbia tratto spunto da Reynolds è così palesemente dimostrato, non soltanto Moby Dick condivide con Mocha Dick metà del nome, ma anche il bianco del corpo, il soffio atipico per un capodoglio e numerosi ramponi conficcati nel suo dorso.
Ma molto probabilmente Mocha Dick non fu l'unico capodoglio ad ispirare il capolavoro di Melville. Per il tragico e spettacolare finale della sua opera, nella quale la gigantesca balena bianca si scaglia contro la baleniera fino a farla affondare, il romanziere prese spunto da un avvenimento letteralmente incredibile che causò il naufragio della baleniera Essex...
Nel 1960 nel solaio di una casa di Penn Yan, New York, fu ritrovato un vecchio taccuino che 20 anni dopo capitò nelle mani di Edouard Stackpole, storico della baleneria. Quest'ultimo scoprì che era stato scritto da Thomas Nickerson, mozzo della baleniera Essex. Il ritrovamento imprevisto di questo documento permise di appurare l'attendibilità di un'opera pubblicata nel 1821 da Owen Chase, primo ufficiale dell'Essex, nella quale aveva descritto (con l'aiuto di un ghostwriter) la tragica epopea della baleniera dalla sua partenza dall'isola di Nantucket sino al salvataggio dei pochi naufraghi sopravvissuti.
Ma cosa era successo di tanto incredibile?
L'Essex era una vecchia (circa 20 anni di vita) - e piuttosto piccola - baleniera, lunga circa 26 metri e con 283 tonnellate di dislocamento, che sebbene non in perfette condizioni a Nantucket godeva di una buona reputazione, in quanto ogni suo precedente capitano era sempre riuscito a ritornare in porto con un ottimo bottino di olio di balena. Ma gli abitanti dell'isola non potevano immaginare che il giorno della sua partenza per l'ennesima caccia, avvenuta il 12 agosto del 1819, sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrebbero vista.
I superstiti della vicenda hanno raccontato che verso le 8:00 di mattina del 20 novembre 1820, a più di 1.500 miglia nautiche a ovest delle Galapagos e a 49 miglia dell'equatore, la vedetta avvistò gli zampilli tipici di un branco di capodogli. Le lance furono calate in mare, ma all'improvviso l'equipaggio rimasto a bordo fu testimone di uno spettacolo inquietante: un enorme capodoglio che giudicarono lungo 26 metri, emerse a circa 100 metri dalla nave.
Appurato che Melville si ispirò a fatti di cronaca, resta da capire quanto questi siano da riternersi attendibili. Le caratteristiche principali di Moby Dick sono le dimensioni enormi e la capacità di affondare una nave (caratteristiche riprese dall'episodio dell'Essex) ed il suo colore bianco (caratteristica ripresa da Mocha Dick).
Stando a molti manuali di zoologia le dimensioni di un capodoglio adulto variano dagli 11 ai 18 metri e non sono pochi gli esperti in cetacei a dubitare delle misure riportate dai sopravvissuti dell'Essex (26 metri). Ma tralasciando il fatto che in passato, quando la specie era più numerosa e le risorse marine più abbondanti, era probabilmente possibile imbattersi in esemplari di dimensioni eccezionali, esisterebbe una prova tangibile circa l'esistenza di capodogli più lunghi di 20 metri. Nel Museo baleniero di Nantucket è infatti esposta una mandibola di capodoglio lunga 550 cm, che facendo i dovuti calcoli, sarebbe dovuta appartenere ad un esemplare di almeno 25 metri.
Per quanto riguarda il colore, esiste una vasta casistica di cetacei albini, all'interno della quale i capodogli non fanno eccezione, con avvistamenti documentati anche nel Mediterraneo.
Il punto più oscuro da chiarire sembra così riguardare la possibiità che questi animali potessero in passato essere in grado di affondare dei velieri. A questo interrogativo tentò di dare risposta David R. Carrier sulle pagine del The Journal of Experimental Biology (2003), pubblicando un articolo nel quale concludeva assieme ai suoi collaboratori, che l'evoluzione della taglia del melone nei cetacei era correlata all'evoluzione del dimorfismo sessuale delle dimensioni corporee e che il prodotto di massa per velocità dell'organo dello spermaceti di un capodoglio in carica, era sufficiente per ferire seriamente un avversario. Queste osservazioni, secondo gli autori, confermavano l'ipotesi che l'organo dello spermaceti si era evoluto per essere utilizzato come arma durante i combattimenti tra maschi. Gli unici due casi conosciuti di attacchi di capodogli a navi terminati con l'affondamento di quest'ultime (la baleniera Essex e nel 1851, proprio in concomitanza con l'uscita del romanzo di Melville e la baleniera Ann Alexander, nella cui fiancata un capodoglio aprì un varco grande quanto il proprio muso), possono così essere giudicati attendibili.
CARRIER, David R. et al. (2003). The face that sank the Essex: potential function of the spermaceti organ in aggression.
CHASE, O. (1821). Shipwreck of the Whale-Ship Essex.
HEFFERMAN, Thomas (1981). Stove by a whale: Owen Chase and the Essex.
LAIST, David W. (2001). Collision between ships and whales.
REYNOLDS, Jeremiah N. (1839). Mocha Dick: or the white whale of the Pacific: a leaf from a manuscript journal.